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Alla ricerca del Graal


 

Era la coppa che Gesù avrebbe alzato nell'Ultima Cena? Il calice dove venne raccolto il suo sangue? Una pietra caduta dal cielo? O forse un antichissimo calderone dai magici poteri soprannaturali? Il Graal rimane ancora l'oggetto più misterioso del mondo medioevale.

Probabilmente,parlando di Medioevo,non esiste argomento più evocativo e appassionante del Graal,o Santo Graal,o Sangrail. L'incertezza del suo nome riflette quella stessa dell'oggetto,visto che per alcuni era la pietra di smeraldo caduta dalla fronte del malvagio nella lotta contro gli angeli,per altri la coppa utilizzata da Gesù Cristo nell'Ultima Cena. La sua etimologia è stata per molto tempo discussa non solo dai filologi,ma anche dagli esoterici. Alcuni di essi,in tempi recenti,vorrebbero farla discendere da sangrail,ossia sangue reale” di Gesù : sposandosi con Maria Maddalena,egli avrebbe originato la stirpe dei Merovingi,primi sovrani di Francia e “re taumaturghi”,ossia capaci di guarire le persone da alcune malattie con la sola imposizione delle mani. L'ipotesi è priva di fondamento storico,ma viene ripresa ciclicamente in numerosi romanzi,non ultimo il Codice da Vinci di Dan Brown. Anche mettendo da parte le invenzioni letterarie moderne,la storia del Graal è ricchissima di misteri e strane coincidenze fra tradizioni e avvenimenti di epoca diversissima. Cominciamo dal suo nome. E' stato ormai chiarito che “graal” deriva da graus,antico termine francese che si ritrova anche nelle forme graax,grealz,greaus: in latino medioevale corrisponderebbe a gradalis,ossia “piatto”,”vaso” o “coppa”. La parola è usata con questo significato già nel 1010 nel testamento di Ermengau,conte di Urgel,che dona “due gradali d'argento” all'abbazia di Sante Foy de Conques. La stessa derivazione può essere attribuita alla parola “grolla”,che indica la particolare coppa tradizionale in uso in Valle d'Aosta. Nel VI secolo il teologo Isidoro di Siviglia scriveva che : si dice volgarmente graalz,perché è gradevole e accettabile mangiare in essa (coppa,scodella)”; anche il monaco cistercense Helinand de Froidmont,nel suo Chronicon (inizi del XIII secolo),ne dava una descrizione in questo senso: “il Graal,chiamato gradalis o gradale in francese,è una larga scodella alquanto profonda nella quale è presentato cerimoniosamente del cibo prezioso,un pezzo alla volta,riccamente servito in varie portate. In dialetto questo è chiamato greal,perché è piacevole e gradito mangiare in esso,che è fatto in argento o altro simile metallo prezioso”. Sempre impiegato come contenitore di cibo,questa volta più spirituale che materiale,il Graal era apparso poco tempo prima in uno dei pilastri della letteratura francese medioevale,Le roman de Perceval ou le conte du Graal di Chrétien de Troyes (1181-1190). In quest'opera non si fa riferimento alla sua forma,ma probabilmente si tratta di un piatto,un bacile o un vassoio. Inoltre il Graal non è ancora chiamato “santo”,anzi si parla di “un graal” come a indicare un oggetto generico : “Un graal tra le sue mani,una damigella teneva,bella e gentile e nobilmente adornata. Quand'essa fu entrata,da tutto il graal che essa teneva,un gran chiarore ne venne,che persero le candele il chiarore come le stelle quando il sole si leva,o la luna”. Sarà però con il Roman de l'estoire dou Graal (1190 circa) del francese Robert de Boron che il Graal assume la forma del calice in cui il misterioso Giuseppe d'Arimatea raccolse alcune gocce del sangue del Redentore,mentre il suo corpo veniva lavato e composto prima di essere collocato nel sepolcro.



Il prezioso sangue di Gesù

Con il tempo le leggende si confondono,affiancando a Giuseppe d'Arimatea anche Nicodemo (colui che portò la mistura di mirra e aloe usata per trattare il corpo di Cristo morto),il quale a volte lo sostituisce nella custodia della coppa. Nel XIII secolo,Matteo da Parigi afferma nella sua Chronica maiora : “Il suddetto Giuseppe,dopo aver trasportato il corpo di Cristo non lontano dal Golgota (il monte della crocifissione),lavò quel corpo,e raccolse poi con grande deferenza in un vaso eccellentissimo,come fosse un tesoro inestimabile,anche lo stesso puro sangue fuoriuscito dalle ferite delle mani e dei piedi ; e con grande timore reverenziale fece lo stesso anche con il sangue misto ad acqua,che era uscito dal fianco destro. E conservò i due vasi esclusivamente per sé e per i suoi successori. E quando Giuseppe e Nicodemo si allontanarono da quei luoghi,si spartirono i due preziosi sieri sopraddetti”. La Leggenda aurea di Jacopo da Varagine,più o meno dello stesso periodo,ci dà altri indizi : Non posso comunque passare sotto silenzio il fatto che si può trovar scritto,in certi libri inglesi,che Nicodemo,dopo aver deposto dalla croce il corpo di Cristo,raccolse il Suo sangue in un vaso di smeraldo,che Dio aveva miracolosamente procurato,per evitarne l'ignominiosa dispersione. E i suddetti autori inglesi,nei loro libri,chiamano questo vaso Sangraal. Esso fu custodito da Nicodemo con grande venerazione per molto tempo”. In campo artistico,invece,il compito della raccolta del sangue,sgorgato dalle ferite di Gesù,viene affidato agli angeli,che volano intorno alla croce con un calice in mano,come raffigurano in numerosi affreschi e dipinti di epoca medioevale. Ma non sempre il Graal è identificato con la coppa che raccoglie il sangue di Gesù Cristo morto : a volte è invece quella usata da Gesù nell'Ultima Cena per istituire il sacramento della Comunione.



Dalla Terrasanta all'Inghilterra

Secondo il racconto di Robert de Boron,Giuseppe d'Arimatea si trasferì dalla Palestina in Inghilterra con la sua famiglia,recando con sé il Graal. La coppa sarebbe stata custodita nella prima chiesa,eretta a Glastonbury,proprio dove,nel 1191,alcuni monaci della vicina abbazia avrebbero dichiarato di aver scoperto le tombe di Artù e di Ginevra. Il Graal trovava così uno dei primi contatti con il “Ciclo bretone” ,l'insieme di poemi epici che diventarono popolarissimi nel Medioevo e che si ricollegavano a miti celtici. D'altra parte,nelle leggende e nei racconti di quelle terre lontane figurava spesso un contenitore magico,capace di infondere conoscenza e sapienza,di dare abbondanza e rigenerare le forze. Esso rappresentava anche il grembo della Dea Madre,simbolo di fertilità e di rinascita. I Tuatha De Danann,mitico popolo che abitò il Galles in epoca antichissima,erano in possesso del Coire an Dagda,ossia del calderone della resurrezione di Dagda Mòr,dio della guerra. Si trattava di una specie di pentolone,capace di sfamare un numero illimitato di persone senza mai svuotarsi ; alla stessa maniera del Graal che,in molti romanzi arturiani,spande profumi e fa apparire vivande meravigliose e sempre rinnovate. Un altro tipo di nutrimento,più spirituale,era fornito dall'Awen,il calderone in cui Ceridwen,dea del fuoco interiore,aveva mescolato misteriose erbe magiche per donare al figlio Avagddu saggezza e ispirazione poetica ; per una serie di circostanze avventurose questo potere verrà trasferito invece all'altro figlio Taliesin,considerato il più antico bardo,ossia poeta epico di lingua gallese,vissuto intorno al VI secolo. Nel poema Il bottino di Annwn,composto prima del Trecento,Artù e i suoi compagni compiono un viaggio nell'Aldilà celtico per recuperare il calderone del re dell'Oltretomba,un viaggio che anticipa di poco la cerca del Graal da parte dei cavalieri della Tavola Rotonda. Il Mabinogion,la più grande raccolta di leggende celtiche in gallese,racconta del Calderone della Rinascita,di proprietà di due giganti irlandesi,Llassar Llaes Gyfnewid e sua moglie Cymideu Cymeinfoll,la quale ogni sei settimane partoriva un guerriero armato di tutto punto. Tranne poche eccezioni,da queste fonti letterarie è evidente come i calderoni celtici rappresentino dei contenitori-dispensatori di sapienza e di trasformazione interiore. In questo senso sono paragonabili all'atanòr degli alchimisti,il crogiolo in cui il “piombo” della materialità umana doveva mutarsi nell'”oro” della pura anima,al fine di raggiungere la perfezione. Ed è proprio questa la funzione che,in chiave spirituale e religiosa,viene attribuita al calice del Graal : esso custodisce il sangue di Cristo,capace di salvare le anime degli uomini peccatori e rigenerarli in una nuova vita,attraverso l'eucarestia.



La fonte della giovinezza

Il Graal mantiene questo potere di rinnovamento e guarigione anche nella particolare forma attribuitagli da Wolfram von Eschenbach,il trovatore tedesco che nel suo Parzival (1210 circa) parla del Graal come “una pietra del tipo più puro che esista,chiamata lapis exillis”. E afferma : “Non vi è su tutta la terra uomo tanto malato che il giorno stesso in cui vede la pietra,e poi tutta la settimana che viene,possa morire”. Questo minerale portentoso sarebbe una pietra caduta dal cielo (lapis lapsus ex coelis),chiaro riferimento allo smeraldo caduto dalla fronte dell'angelo malvagio,in cui si credeva fosse stato scolpito il calice del Graal stesso. Potrebbe trattarsi anche della pietra filosofale,tanto cara agli alchimisti,che avrebbe il potere di fornire l'immortalità e la cura di ogni male,la conoscenza assoluta di ogni cosa e la possibilità di mutare il piombo in oro ( come abbiamo visto,non si tratterebbe di una trasformazione chimica in senso stretto,bensì di un'allegoria spirituale). Insomma,la pietra filosofale,così come il lapis exillis di von Eschenbach,condenserebbe tutte le caratteristiche del Graal.

Pochi lo troveranno

Ma questi doni spirituali vengono concessi solo a chi sappia meritarseli con una condotta di vita esemplare. Proprio per questo motivo il Re Pescatore,indegno custode del Graal,ne determina la misteriosa scomparsa,facendo del regno una terra sterile,inospitale e desolata. A questo punto occorre che qualcuno si dedichi alla ricerca della santa coppa,per riportarla al sovrano e far ritornare la felicità e l'abbondanza. Nasce così,all'interno della struttura del ciclo arturiano,la Queste,ossia “la cerca del Graal”,nella quale si impegnano tutti i cavalieri della Tavola Rotonda,affrontando prove difficili e meravigliose avventure. Leggendo fra le righe di questa splendida allegoria letteraria è facile comprendere come la Queste altro non sia se non la ricerca interiore,il percorso spirituale che ogni uomo deve seguire per tentare di raggiungere la perfezione,la tensione verso Dio. Aldilà dell'oggetto più o meno reale,il Sacro Graal indica la ricerca di se stessi. Ma,proprio come ha predetto il mago Merlino durante la fondazione della Tavola Rotonda,”molti lo cercheranno e pochi lo troveranno”.



12 cavalieri a caccia di un sogno

Secondo la leggenda,i Cavalieri della Tavola Rotonda erano i guerrieri scelti di Re Artù,chiamati a Camelot per fare parte della sua corte. A loro venne affidata la pericolosa missione di cercare il Sacro Graal. Sebbene in alcune versioni del racconto si parli addirittura di 150 cavalieri,sono tradizionalmente solo 12 i commensali chiamati a sedere accanto a Re Artù. In realtà,narra la leggenda,era stato preparato anche un tredicesimo posto,che però veniva lasciato vuoto : il “Seggio Periglioso”,destinato al puro di cuore che avrebbe ritrovato la reliquia (tale posizione sembra ricalcare quella di Giuda nell'Ultima Cena). A guadagnare tale onore sembra sia stato Persifal,mentre altre versioni parlano di Galahad.

Re Artù : Non deve stupire di ritrovare lo stesso Re Artù tra i 12 cavalieri della tradizione : l'idea stessa della Tavola Rotonda,infatti,era quella che tutti coloro che vi sedessero attorno si trovassero nella stessa posizione rispetto agli altri : il monarca stesso,quindi,non era che un primus inter pares.

Parsifal : Protagonista di alcuni dei racconti più importanti dell'epopea arturiana,come il Persifal,o il racconto del Graal di Chrètien de Troyes e il Parzival di Wolfram von Eschenbach. Insieme a Galahad e Bors partì alla ricerca del Graal.



Galahad : Era il figlio naturale di Lancillotto,scelto insieme a Parsifal e Bors per partire alla ricerca del Graal. Si racconta che,giunto a vedere il Graal,Galahad chiese al suo custode,Giuseppe d'Arimatea,di poter morire in quel momento stesso,venendo accontentato.



Bors de Ganis : L'unico superstite della ricerca del Santo Graal. Cugino e amico di Lancillotto,partì con Galahad e Parsifal alla ricerca del Graal e tornò da solo a Camelot. Trovò la morte in Terrasanta,combattendo nelle Crociate.



Galvano : Nipote di Re Artù,combatté il Cavaliere Verde,che ostacolava il passaggio ai paladini della Tavola Rotonda in segno di sfida,e lo decapitò. Rappresenta il coraggio e la galanteria cavalleresche e si narrava che la sua forza gli venisse dai raggi del sole.



I luoghi della leggenda

Tomar : Quando l'Ordine Templare venne sciolto e i suoi maggiori rappresentanti messi al rogo,alcuni cavalieri fuggirono in Portogallo dove,si dice,nascosero il Graal e altri tesori.

Rennes-le-Chàteau : In questo paesino,a fine Ottocento,l'abate Saunière asserì di aver trovato un tesoro templare connesso al Graal,inteso come “sangue reale” dei Merovingi,eredi diretti di Gesù Cristo.

Torino : Presso la chiesa della Gran Madre di Dio sarebbe sepolto il Graal : esattamente fra le due statue della Fede (che impugna un calice) e della Religione.



Montsègur : L'ufficiale delle SS naziste Otto Rahn era convinto che il Graal si trovasse in questa rocca,dove gli eretici catari erano stati sconfitti dalle truppe di Filippo il Bello.

Genova : Sarebbe stato il condottiero Guglielmo Embriaco Testadimaglio a portare il Graal dalla Terrasanta fino a Genova nel 1101. Oggi la coppa è conservata nel Duomo di S. Lorenzo.

Bari : Il portale della cattedrale di San Nicola riporta la figura di Re Artù. Forse da qui nacque la leggenda della presenza del santo calice nella città.



Il Càliz di Valencia

Per molti spagnoli il Graal esiste davvero : è un piccolo calice di soli 7 cm,con la coppa in agata,lo stelo in oro a doppia ansa e la base in calcedonio,intorno alla quale corre un'iscrizione araba ancora non completamente decifrata. Una tradizione aragonese narra il lungo viaggio compiuto dal Santo Càliz : portato a Roma da san Pietro,fu trasferito in Aragona da San Lorenzo per preservarlo dalle persecuzioni contro i cristiani. A partire dall'VIII secolo fu conservato nel monastero rupestre di S. Juan de la Pen'a,a circa 70 km dalla precettoria templare di Huesca,dove è esposta una copia fedele del Santo Càliz. Nel 1399,in cambio di una coppa d'oro,venne dato a re Martino I d'Aragona,che lo portò a Saragozza ; da qui arrivò a Valencia dove,dal 1437,ha trovato la sua collocazione definitiva nella Cattedrale. 


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